In questo Capitolo del sito, presentiamo alcune testimonianze scritte e
fotografiche.
Chi volesse può inviarci la propria testimonianza che
provvederemo ad inserire qui.
Ringraziamo gli artisti: Patrizia Boschi Daniela Montanari Franco Vignazia che hanno onorato don Arturo con i loro ritratti.
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Wajir, Kenia, 29 aprile 1984
Carissimo don Arturo, Liliana mi ha mandato il dono della tua gente: “Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”. Ti ritrovo oggi, in questo mio deserto, tutto intero e vibrante come ti ho conosciuto più di vent’anni fa, come ti ho lasciato, una sera d’inverno, sedici anni fa, come ti ho riascoltato in qualche rara lettera dei primi anni… Grazie , don Arturo, e che il Signore della gioia e della pace ti benedica e ti custodisca così fino alla fine dei tuoi giorni: tu e il Vangelo, tu e la Parola. Nient’altro! E che da questo incontro, da questa “scoperta di due divini”continuino a sgorgare acque prorompenti di vita. Io sto BENE e sono nella GIOIA sempre. Dio è fedele.
Annalena Tonelli
Annalena Tonelli e don Arturo Femicelli
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Dedica che don Francesco Fuschini (1914-2006) fece sul libro "Vita da cani e da preti" che donò a don Arturo.
Tale documento è depositato presso il "Fondo Librario Arturo Femicelli" della Biblioteca Liceo Classico Forlì.
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Prete dei lontani, ovvero il Vangelo della gioia
4 Ottobre 2002: l’abbiamo consegnato al Mistero della Trasfigurazione, a quella luce che emana dai suoi gloriosi crocefissi. Un’esplosione corale e gioiosa di canti, (i suoi canti), l’hanno “accompagnato, proprio come se fosse stato lui l’invisibile e originale regista del suo stesso “transito”. Don Arturo è stato un prete diverso, singolare, inimitabile. Era il nostro giovane professore di religione e già scherzavamo dicendo che non gli avrebbero mai affidato una parrocchia: distratto e smemorato com’era, l’avrebbe “smarrita” il giorno dopo nell’indescrivibile caos delle sue cose. Invece gli fu data S. Caterina: era un poltronificio che tale restò senza che si preoccupasse di restaurarla a chiesa; probabilmente non ne sarebbe stato capace; a lui interessavano le pietre vive, i cuori in ricerca, dei lontani, degli sbandati, dei peccatori. Aveva tempo solo per loro: si lasciava avvicinare da ognuno, non per diventarne il medico o il maestro, ma con l’attesa di scoprirvi dentro la pietra preziosa della sua identità di figlio di Dio, e con l’umile fiducia di ascoltare un messaggio, una verità, una benedizione, prima di tutto per lui stesso, per la sua fede, per la sua chiesa. Poi apriva il Vangelo, e anche ad occhi chiusi, attingeva dalle parole del suo Cristo il balsamo per medicare una ferita, sanare una piaga, placare un dubbio. Capovolgendo l’antico detto, il suo Ministero era forse tutto qui: “Extra salutem, nulla ecclesia”. Se non si salva la gente, la chiesa non ha ragione di esistere, se non si salva ogni uomo, chiunque esso sia, e qualunque cosa abbia fatto, la Chiesa non c’è. Don Arturo, prete dei lontani, è “cresciuto” anche lui nella fede, e nel ministero, camminando soprattutto con i peccatori e i lontani. Piccolo fratello universale, quando celebrava, si sollevava oltre il perimetro della sua piccola comunità, oltre il recinto della sua cittadella sacra e ostinatamente giorno dopo giorno raccontava lo scandaloso mistero di un Dio Amore che muore per tutti, per tutti, per tutti, nessuno escluso A chi gli confidava di essere ateo, eretico incapace di conversione e di ravvedimento, non rispondeva con argomentazioni dottrinali o etiche; nessuna rivelazione lo sorprendeva... proprio come fosse tutto così naturale e possibile, come se anche lui avesse attraversato gli stessi dubbi, le stesse fragilità, gli stessi smarrimenti Ma la calma, la trasparenza del suo sguardo infantile, le poche semplici parole del Vangelo bastavano per fare esperienza della maternità di Dio, di un Dio per il quale siamo tutti fuori e tutti dentro, perché “l’antichiesa può essere nella chiesa stessa e l’anticristo può essere accantonato nel mio animo di credente e cristiano” (Mazzolari). Forse è questa la ragione per cui chiedeva a tutti di comunicarsi a cominciare da chi aveva peccato di più, certo com’era che Dio diventa ancora più padre perdonando a dei figli che diventano più figli sbagliando A volte ascoltava a fatica la confessione di una pia litania di peccati; sembrava quasi che volesse interromperla, come il padre di quel quadro di Rembrandt, che costringe il figlio a tacere sul suo cuore, piuttosto che lasciarlo confessare ad alta voce le sue nefandezze. Perché, diceva, è solo dopo l’abbraccio del Padre che ci si confessa, e solo dopo essere stati perdonati che ci si pente e non viceversa. Questo era don Arturo, il prete della gioia, il prete di un Dio imprevedibile che è sempre oltre nostri pensieri, e le nostre dottrinali formulazioni, oltre i nostri sguardi parziali puntati su di Lui, un Dio che ama sorprenderci e perfino risponderci in certe percezioni profetiche dei lontani, nella sete e nostalgia di bene dei peccatori, nell’inquietudine dei dubbiosi. Don Arturo, prete dei lontani era questo! Ma era anche altro. Era il prete ortodosso e ubbidiente che accoglieva i neocatecumenali, i gruppi del Rinnovamento, gli Scouts, i vari gruppi di preghiera... perché la verità ha tutti i diritti, fuorché quella di essere intollerante, e perché ogni creatura ha il diritto di andare a Dio in qualsiasi forma e Dio stesso gli concede la fede per venerarLo in quelle forme, e noi dobbiamo sentirci tutti pellegrini dell’Assoluto, accomunati nella stessa umile universale dignità di mendicanti di Dio.
Maria Teresa Battistini
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La Fonte di Energia
Con questa mia testimonianza vorrei che venisse glorificato Dio che attraverso il suo servo don Arturo ha operato piccole e grandi cose in chi lo ha incontrato. Ho conosciuto don Arturo quando avevo poco più di 20 anni perché invitata da M. Teresa ed Annalena a partecipare a un nuovo modo di pregare presso la Chiesina del Miracolo. E il miracolo si compì davvero perché trovai in questa forma di preghiera una risposta alla mia ricerca di senso della vita, alla mia sete del Dio vivente. Trovai quel sasso su cui posare il capo che neanche Gesù aveva; compresi e risposi all’invito del Signore: “Venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po’ ”. Queste parole e questi momenti sono tuttora la mia fonte di energia e di consolazione.
In quel periodo il mio tempo libero dal lavoro si svolgeva in quello spazio ristretto che andava dalla Chiesina del Miracolo alla caserma di Via Romanello dove abitavano i più poveri di Forlì che Annalena mi aveva lasciato come preziosa eredità. Io andavo a pregare nella chiesina a qualsiasi ora del giorno e buona parte della notte perché don Arturo possedeva anche la generosità di mettere a disposizione di tutti le sue cose e la sua casa e questo ci dava la possibilità di fare il deserto anche in piena città.
I messaggi e le scoperte più forti che ho ricevuto da don Arturo:
- la preghiera, la Parola e l’Eucaristia come nutrimento quotidiano;
- la libertà come dono dello Spirito santo;
- la responsabilità della fede di fronte a Dio e agli uomini;
- il povero come sacramento di Dio;
- il crocifisso non solo come croce del Venerdì Santo, ma come croce gloriosa, come culmine della glorificazione;
- il Vangelo della gioia, delle beatitudini, cioè la possibilità di essere beati fin da ora, anche sotto le sofferenze più pesanti.
Sostanzialmente mi ha comunicato un substrato di ottimismo che emerge in qualsiasi situazione della mia vita. In seguito, mentre don Arturo sperimentava la pienezza del suo sacerdozio con la chiamata a diventare parroco, io riscoprii il valore dell’appartenenza alla mia parrocchia e alla Chiesa locale, appartenenza che ha trovato nel Sinodo la sua espressione più matura.
Sono questi piccoli flash di quanto don Arturo mi ha insegnato, di quanto don Arturo mi ha testimoniato. Ho potuto così sperimentare quanto sia vera l’affermazione di Paolo VI nell’enciclica Evangeli Nuntiandi: “Gli uomini hanno bisogno di maestri... il cui insegnamento è efficace quando essi sono anche testimoni”.
Ora don Arturo lo vedo raramente ma spero e prego che quanto il suo sacerdozio ha seminato in me porti buoni frutti nei nuovi campi che il Signore, penso, mi ha indicato:
1. essere un componente della Comunità alla quale mons. Vescovo ha affidato il compito di dare vita a un Centro diocesano di spiritualità quale segno del Sinodo che abbiamo ultimamente celebrato;
2. essere una presenza di servizio in un ambiente che troppe volte è considerato arido e burocratico: la Curia. Non si potrà continuare a considerarla così: essa si trova nella casa del Vescovo ed è lo strumento della sua paternità pastorale.
Il Signore benedica don Arturo, lo mantenga buon seminatore della sua Parola, e benedica tutti noi perché il buon seme porti frutti gustosi ed abbondanti.
Franca Silvestroni
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Vivere bene secondo il vangelo
Le moltissime persone che hanno incontrato e conosciuto don Arturo conservano di lui un bel ricordo.Persona mite, accogliente, disponibile all’ascolto e alla condivisione, sapeva, pur nei limiti dell’umana natura, essere un “buon prossimo”.Queste sue apprezzabili qualità traevano linfa da una profonda interiorità, dalla preghiera continua e dal “conservare nel cuore” la Parola di Dio, viva ed efficace.Ritengo che i cardini della sua predicazione possano essere individuati nei seguenti tratti:
• amore di Dio e del prossimo
• abbandono alla Provvidenza
• accogliere l’invito al riposo
• saper perdonare
• vivere lieti
Amore di Dio e del prossimo: l’amore è l’unica forza capace di salvare il mondo dall’abisso della violenza, dello sfruttamento e delle guerre.Dio è Amore, il suo amore è riversato per grazia nei nostri cuori per renderci capaci di amare. Chi ama dimora in Dio e Dio in lui. L’amore di Dio e del prossimo vanno sempre tenuti insieme. Il “dono di sé” rappresenta l’apice della maturità umana.
Abbandono alla Provvidenza: i fiori dei campi e gli uccelli del cielo sono mantenuti in vita dal Padre celeste che non farà mancare a nessuno il necessario per vivere se gli uomini sapranno condividere le risorse disponibili. Siamo “amati da Dio”: possiamo vivere liberi dall’affanno per il nostro futuro, concentrati sul nostro presente.
Accogliere l’invito al riposo: il lavoro è necessario per la piena realizzazione dell’uomo ma non deve mai diventare una realtà totalmente assorbente. Risulta veramente salutare, per l’uomo, alternare al lavoro e alle occupazioni quotidiane periodi di riposo per coltivare la vita interiore e la propria relazione con Dio, con i fratelli, con se stesso e con il creato. Significa, in fondo, riconoscere ed accettare i nostri limiti creaturali.
Saper perdonare: per quanto risulti estremamente difficile rappresenta la condizione necessaria per ricevere il perdono e vivere serenamente. Benedire i propri nemici e pregare per coloro che ci perseguitano è possibile solo per grazia, una grazia da invocare ed accogliere.
Vivere lieti: la gioia è il distintivo del cristiano e può benissimo convivere con i nostri problemi quotidiani perché è una gioia che attraversa le nostre croci e le supera nella dimensione della resurrezione.
Lo Spirito Santo, invocato ed accolto, effonde nel cuore di ogni uomo retto e sincero i suoi innumerevoli doni che portano meravigliosi frutti. Di tali frutti l’uomo non deve sentirsi autore ma, con sereno distacco e meraviglia, deve riconoscerli come doni gratuitamente ricevuti. L’atteggiamento interiore del “servo inutile” preserva dallo scoraggiamento e dalla presunzione.
Testimone trasparente dei valori evangelici, don Arturo ha lasciato una eredità spirituale capace di portare frutti di bene nella famiglia di Dio.Cercando di vivere in modo conforme al Vangelo ci ha testimoniato come spendere bene la vita.
Giuseppe (Pino) Giacometti
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TESI UNIVERSITARIA
LE "REGOLE DEL BUON VIVERE" nella predicazione e negli scritti di Don Arturo Femicelli
Giuseppe Giacometti
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TESI UNIVERSITARIA
DON ARTURO FEMICELLI: Pellegrino nelle strade del Signore
Paganelli Antonio
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Trascrizione dalla registrazione dell’intervento svolto a Forlì, il 16 aprile 2004, in occasione della presentazione del libro: “La Fedeltà di don Arturo”.
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Vedere la Grazia
Quando si stava con don Arturo, quando si usciva da un suo incontro, eri elettrizzato, magari a volte anche con un po’ di tristezza dentro, perché sentivi che fino ad allora avevi perso tanto, avevi perso tanto. Accanto a lui, molte volte, sentivi questo: È davvero un prete diverso, un prete grande, un prete che era in contatto...
Un prete che era stranissimo... di un’apertura... Una delle prime volte, che ero prete, mi ricordo che andammo insieme, con Guido Turroni, a Taizé col suo macinino, una 500 scassatissima. È l’uomo… Poi con la 500 fece cose ancora più ardite e spericolate, eppure gli venivano. Trovarsi nel deserto sperduto... ma a lui effettivamente è andata bene! Un uomo... però questa sua concretezza… Per esempio questo suo bisogno di andare a vedere i posti, i luoghi: Medjugorje, Assisi, la Terra Santa, Taizé, il Monte Athos, questa sua spudoratezza di andare a contattare le persone... Di andare direttamente... era un uomo che viveva in presa diretta con Dio e con la gente... In presa diretta. Era dentro!
La cosa bella è che questo ‘contatto’ lo sapeva esprimere con i suoi acquerelli e con la sua pittura, sempre bella. Alcuni davvero da meditarci e pregarci sopra. Come quello di Emmaus, ma non solo quello.
... la bellezza si addice alla fede, la fede è bella! Dio è bello! Mi viene da chiedere: ma tutte queste qualità: la fedeltà, lo spirito, la concretezza con cui riusciva a vedere le persone, andare all’essenziale, all’osso nelle cose, non aveva niente a che fare con il suo senso estetico? Oppure proprio perché era un artista sapeva vedere il mondo, sapeva vedere le persone, sapeva vedere Dio! E la cosa che mi fa pensare al Signore. Ma se allora un uomo che ha l’occhio… “beati i puri di cuore perché vedranno Dio”; ma se allora un uomo che ha l’occhio puro, il cuore puro come don Arturo, vedeva, vede che poi, vede questa Grazia, come il prete di Bernanos, così diverso, che però termina dicendo: “Tutto è Grazia!”. Ecco se questi preti, se questi uomini che hanno questo occhio penetrante, questo occhio limpido, questa capacità di vedere, di dipingere, questa sensibilità profonda dell’estetica della fede, se questi uomini riescono a dire che Dio ti ama come sei, che la vita è gioia, che c’è salvezza per tutti, allora, cari fratelli, allora vuol dire che la realtà è così.
Allora vuol dire che se loro hanno visto... (perché loro hanno visto più di noi), allora se loro, con i loro occhi, hanno detto: “Ma state tranquilli, non abbiate paura!” allora vuol dire che è proprio vero: che Dio c’è, che Dio ci ama, che la vita è Grazia, che tutto è Mistero, che la preghiera conta, che la morte è passaggio, che i peccati sono salvati e redenti, che la storia ha senso, che Dio c’è e ci ama. Se l’ha detto don Arturo, che è un uomo che ha fede, ... la sua teologia estetica...
Don Sergio Sala
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Giorgio Pettini e Don Arturo
Don Arturo, giovanissimo, si affacciò a Palazzo Albicini, allora sede della Fuci forlivese e del Gruppo Missionario di ispirazione paolina. Era il 1949, se la memoria non mi tradisce. Per l'età e l'entusiasmo, ed il candore, venne accolto come un fratello più giovane, ma con il carisma di sacerdote. Si poteva anche scherzare familiarmente come non osavamo fare con gli altri sacerdoti che ci erano cari e consueti: don Vasumi, don Bazzoli, don Scaccini, don Pippo, per citare i più assidui. Partecipò alle nostre vacanze estive ed al Wolkenstein, al soggiorno storico di don Gino Berardi. In quella stagione (mi sembra il 1966, o 67, la data non importa) scoprimmo in una ardita escursione su una "famosa ferrata" a quota 3000 che don Arturo si arrampicava con scarponi preistorici letteralmente sfondati, a rischio. Bastava accodarsi nella salita per vederli. Incuriositi analizzammo gli altri capi di vestiario che si rivelarono stracci dignitosi e rammendatissimi. Alla sera, in separata sede, congiurammo di rinnovargli vestito, scarponi, giacca impermeabile ecc. L’indomani, era la sua festa, si commosse per l'augurale regalo. Pregammo insieme alla sua messa. Ed il giorno dopo, alle prime luci dell'alba, partimmo per una nuova escursione. Comprendemmo subito che avevamo sbagliato nella congiura. Perché don Arturo apparve nella fatiscente divisa di alpinista; Ci chiese scusa, ma aveva incontrato un montanaro più povero di lui ed il nostro regalo gli era stato donato. La vicenda ebbe un seguito drammatico, che coinvolse i miei figli, perché il montanaro beneficato perse la vita pochi giorni dopo, seppellito in un cunicolo dove lavorava per un padrone razzista, politicamente autorevole. E' un'altra storia che meriterebbe di essere conosciuta e che, tolto il sipario di civile convivenza, rivelò immagini all'interno della società altoatesina non dissimili da quelle che emergono in zone mafiose e camorristiche.
Pochi anni fa di passaggio da Forlì, ci recammo a trovare don Arturo. Restammo colpiti dal cartello sulla porta, sempre aperta, che pregava i "signori ladri di non sfondarla, e di chiedere di lui. Li avrebbe aiutati come poteva, benché poverissimo. Fu l'occasione per confessare al sacerdote ed amico il tormento, su un dubbio che mi assillava. E la stia assoluzione mi riempì di serenità e di gioia, assieme alla motivazione che ne veniva data. Ero stupito per la profondità culturale e la chiarezza della esposizione. Mi confermava quella luce evangelica che in tante occasioni avevo conosciuto. Ero approdato per offrirgli una immagine di Santa Caterina del 1600, che è nella mia famiglia da quasi due secoli. Mi prese per mano e mi fece vedere, senza parlare, gli affreschi con cui aveva decorato la sua Chiesa di Santa Caterina. Compresi il tacito messaggio. Gli affreschi erano e sono la sua offerta vissuta al mistero di una Santa che ha saputo vivere Cristo fuggendo dal clamore e dalla esteriorità del suo secolo.
Una "sorella laica" mi chiese, quasi vent'anni fa, di pensare a una sceneggiatura per un film sulla vita di Santa Caterina. Mi dichiarai incapace perché un film presuppone protagonismi, fatti eclatanti, e pochissimi registi in grado di immaginare dall'interno una atmosfera simile al "Diario di un parroco di campagna" di Bernanos. Sono accostamenti che spero. riescano a tradurre ciò che mi sommuove alla perdita terrena dell'amico fraterno don Arturo. Perché lui è già nella "Luce", quella luce accecante che accoglie lassù i giusti nel Signore.
Giorgio Pettini
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A VECCHIAZZANO UNA SALA INTITOLATA A DON ARTURO FEMICELLI
Leggo su “ il Momento” che domani 10 maggio p.v. nella casa dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, in Via Borghina 4 a Vecchiazzano, sarà inaugurata una sala intitolata a don Arturo Femicelli, parroco a Santa Caterina fino al 2002 anno della sua scomparsa.
Con questa lodevole iniziativa, il nome di don Arturo si lega a Vecchiazzano, dove negli anni cinquanta questa bellissima figura di sacerdote, si dedicò con passione alla pastorale dei giovani,collaborando con grande profitto col parroco don Biagio Fabbri.
I giovani di allora lo ricordano con tanto affetto, per la dedizione alla sua missione,e per le sue innegabili doti di musicista.
Ricordo che don Arturo, dopo avere realizzato in modo artigianale un episcopio, ci intratteneva proiettando su di un muro i fumetti di Iacovitti che venivano pubblicati su “ Il Vittorioso”. L’ingegnoso sacerdote, per fare questo, ritagliava le strisce dei fumetti, le univa in successione con colla fatta con acqua farina e aceto, e le arrotolava: ogni rotolo conteneva una storia diversa.
Commento inserito da Daniele La bruna in data 10/05/2009
Don Arturo!!! quanti ricordi tornano alla mente, ero un ateo convinto e nonostante ciò non mi ha mai escluso, non ha mai tentato di convincermi del contrario, non ha mai cercato a farmi cambiare idea, nonostante ciò mi è sempre stato vicino nei momenti difficili, non ho mai espresso a lui le mie difficoltà, però in qualche maniera ne veniva a conoscenza, per darmi poi conforto. Quando mori mia zia la sorella di mia madre nell'ospedale di Forlì, essendo residente a Sarsina, chiesi al suo Parroco se veniva ad accompagnarla col carro funebre da Forlì a Sarsina, lui ...........no, allora essendo mia zia credente pensai che avrebbe comunque voluto la compagnia di un Prete nell'ultimo viaggi terreno, fu così che chiesi all'Amico Don Arturo se era disponibile per quel "desiderio", nonostante i suoi impegni, nonostante gli costasse più di una difficoltà eccetto. Sentendomi in debito volevo fare qualcosa, ateamente parlando volevo liberare il mio obbligo morale dando un'offerta alla Chiesa, lui rifiuto, però disse, "in parrocchia c'è una famiglia bisognosa, vieni domenica mattina alla messa delle 9, te la indicherò e tu potrai dare a loro una busta con la tua riconoscenza". quella domenica mattina andai alla messa delle 9 e Don Arturo non mi indoco nessuno, mi rese partecipe di quella Eucarestia. Oggi a distanza di 20 anni, forte del fatto che da circa 10 sono un convertito, ripensando a Don Arturo e a quella Eucarestia, sorbita in fremente attesa di poter dare anch'io qualcosa a qualch'uno, consapevole, di non averla subita, di averla inconsapevolmente partecipata nel dettato di nostro Signore Gesu, mi rendo conto di quale grande lezione fui oggetto. Fu da quel giorno che nei momenti in cui per vari motivi mi trovavo solo pensando alla zia, a cui ho voluto un bene immenso, incominciai e pensare all'infinito, a Dio, forse inconsapevolmente, ma non ne sono certo, che l'astuto insegnamento dell'Amico Don Arturo inizio a cambiare la mia vita, nel cuore di tanti Don Arturo è tuttora vivo, anche per me lo è, lo è nel ricordo e nel mio cuore.
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Articoli scritti da Umberto Pasqui:
L'ARTE DI UN MAESTRO DI FEDE
UNITI IN CORO PER DON FEMICELLI
UN GIARDINO DI PREGHIERA
UNA VOCE PER DON FEMICELLI
SEI ANNI FA SE NE ANDAVA DON ARTURO
RITRATTO DELL'ARTISTA DA SACERDOTE
IN FUGA DAL CLAMORE DEL MONDO. COME SANTA CATERINA
LE OMELIE DI DON ARTURO DIVENTANO UN CALENDARIO
UNA SALA PER DON ARTURO FEMICELLI
IL LIBRO "L'ABC DELLA VITA"
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Omelia in ricordo di don Arturo svolta da mons. Adriano Ranieri
Forlì, Parrocchia S. Caterina da Siena, 4 Ottobre 2011
La chiesa oggi ci parla di S. Francesco, così come ogni giorno, in ragione di una continuità di vita, che ha bisogno di essere sostenuta da esempi stimolanti e propositivi. Come pure ricordiamo con gratitudine il sacerdote ed amico Don Arturo che a suo tempo ha condiviso con noi la fatica del cammino quotidiano, Noi facciamo memoria di loro non per riscoprire fra le ceneri del passato frammenti di storia e reperti archeologici, ma per alimentare il fuoco e potenziarne il calore e la luce che emana. È uno stimolo alla emulazione e a non arrendersi di fronte alle inevitabili difficoltà e imprevisti del cammino,
S. Paolo in questa sua confessione che fa ai Galati dichiara che l’unico vanto di cui può gloriarsi è quello della croce, quella di Cristo, che inevitabilmente segna il confine fra la situazione del mondo, ovvero della carne e quella dello spirito, il cristiano per la sua incorporazione a Cristo accetta la liquidazione della carne avvenuta radicalmente sulla croce. La carne, il mondo e la disperazione umana sono state annullate sulla croce, da una parte, e dall’altra esaltate. Ricordiamo il supplizio di Tantalo della mitologia greca che legato ad un albero mani e piedi è immerso in uno stagno d’acqua e quando ha sete si piega per un sorso di acqua, per dissetarsi, ma a quel punto l’acqua si abbassa inevitabilmente, l’incapacità dell’uomo a darsi una risposta. Ai tempi di S. Paolo ci si chiedeva se per aderire a Cristo era necessario sottoporsi al rito della circoncisione oppure a prescindere da essa si poteva entrare a fare parte della comunità cristiana a pieno titolo. Don Arturo era spesso fuori dagli schemi per la sua dote di sognatore di un mondo ancora angelico, quello rimasto nel paradiso terrestre, pre-peccato. Ricordo che al ritorno da un suo viaggio clandestino in Russia dove andò a visitare il mausoleo di Lenin nella grande piazza di Mosca ci fece vedere le diapositive e commentò dicendo che quello era il frutto della morte, ma le guardie come due angeli vegliavano ininterrottamente. A suo tempo Paolo gridava: “ Non conta la circoncisione o la non circoncisione ma l’essere nuova creatura”. Una rinascita radicale del proprio essere per tutto l’Israele di Dio. Poi chiede che nessuno lo tormenti più di tanto, perché porta le stimmate di Gesù nel suo corpo. Le stimmate sono i segni (lettere, tatuaggi o incisioni ) che evidenziavano l’appartenenza di uno schiavo al suo padrone. In concreto il soffrire per Cristo era una cosa anche visibile, nel corpo sofferente di Paolo, lui che aveva superato tante sofferenze di viaggi numerosi e avventurosi e di minacce continue di morte e lapidazioni così che porta sul suo corpo il tatuaggio del suo Signore. In sintesi il banditore della parola dovrà affrontare l’inevitabile reazione violenta che questa parola provoca in una società egoista, ambiziosa e invidiosa. Paolo in conclusione, ormai stremato dalle fatiche apostoliche chiede che i Galati gli concedano un respiro nella sua missione di evangelizzatore.
Un versetto del salmo responsoriale ci introduce alla parola diretta di Gesù “Sei tu Signore l’unico mio bene”. Gesù ringrazia e benedice il Padre per la rivelazione ricevuta: “Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti ed intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Dietro questa preghiera c’è il riferimento agli scribi e farisei studiosi di professione della legge. Per loro e per la loro sapienza non è ammissibile il mistero del regno che Gesù paragona alla rete gettata in mare e al piccolo seme di senape che sebbene piccolo diventa il più grande degli alberi. Don Arturo mi fece notare l’albero e mi invitò a prenderne il seme.
Il ringraziamento in questo caso significa, accettare il disegno di Dio. Solo chi ha coscienza della propria incapacità nel bisogno a volte disperato, di riempire la propria vita, si affida a Dio e si batte il petto con umiltà. Vedi il pubblicano. Dio non ammette che l’uomo entri in concorrenza petulante con lui, l’autosufficienza è sempre il maggior ostacolo per l’apertura al mistero di Dio. Il piano di Dio può essere accettato e rigettato dall’uomo, ma non può essere discusso.
Poi Gesù si presenta come l’unico rivelatore del Padre e questo è possibile per la sua particolare relazione col Padre in quanto Figlio. Infine l’invito ad andare a lui perché affaticati ed oppressi. Prendete il mio giogo sopra di voi, imparate da me che sono mite ed umile di cuore, il mio giogo è dolce e il mio carico leggero. Il giogo si porta in due, appaiati. Della stessa altezza, e forza impegnata nel trainare l’aratro. Davanti a condurre il paio di buoi che aravano la terra c’era spesso il ragazzo che precedeva e sollecitava gli animali al lavoro. Don Arturo un giorno ci confidò della sua paura che aveva dei buoi o mucche, dovuto a una disavventura, lui adolescente era stato attaccato da un toro che lo aveva sollevato da terra con le corna.
Matteo ha più volte parlato delle esigenze di Gesù e delle condizioni che impone a chi decide di seguirlo. Accettare questo è prendere sulle spalle la croce. Si tratta di un uomo che morì sulla croce, si tratta di dare o perdere la vita “corporale “in modo tale che la vita corporale acquista tutta la sua dimensione nella vita eterna. Nessuno del sacrifici compiuti per il regno resterà senza ricompensa, poiché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ero nudo, carcerato, ammalato...
Il giogo di Cristo è più soave di quello che impongono gli altri maestri. Lui ci comanda di pregare e ci garantisce che saremo ascoltati da Lui, promette lo Spirito che viene in aiuto e Lui stesso si presenta mansueto e umile di cuore, ci accompagna nella strada della vita come ai discepoli di Emmaus tanto cari a don Arturo che ci ha lasciato come icona della sua vita.
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